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Come si diagnostica una cardiomiopatia felina
Il prof. Porciello ha poi approfondito come si può diagnosticare, mediante rilievi strumentali, una cardiomiopatia felina. Le cardiomiopatie in generale sono un gruppo eterogeneo di malattie del miocardio associate ad alterazioni strutturali e funzionali (elettriche). Si suddividono in primarie idiopatiche (DCM, HCM, ARVC, cardiomiopatie non classificate) e secondarie (legate ad altre patologie concomitanti). La loro diagnosi nel tempo è diventata sempre più accurata grazie all’evoluzione degli apparecchi ecografici e all’introduzione di nuove tecniche diagnostiche, come l’esame Holter. I gatti cardiopatici possono essere asintomatici oppure presentare soffio sistolico e/o aritmie (frequente il riscontro di ritmo di galoppo). Nei casi moderati e gravi, altri sintomi che si possono riscontrare sono: debolezza, dispnea grave e polipnea per edema polmonare e/o versamento pleurico, sincope. In caso di tromboembolismo conseguente a cardiopatia si può rilevare paraparesi/paraplegia degli arti posteriori se vengono colpite le arterie iliache, o dell’arto anteriore destro, se il trombo occlude l’arteria succlavia destra. In questo caso, la diagnosi è clinica e si riscontrano paralisi, estremità fredde, polso arterioso assente, pallore o cianosi dei cuscinetti plantari, contrattura dei muscoli con forte dolore. L’esame elettrocardiografico in corso di cardiomiopatia può essere normale oppure può mostrare una deviazione a sinistra dell’asse elettrico medio del QRS o blocco del fascicolo anteriore sinistro. L’esame Holter può essere di aiuto nel rilevare tachiaritmie sopraventricolari (la più frequente è la fibrillazione atriale) o ventricolari, se non rilevate all’ECG di base.

L’esame radiografico è utile per valutare la presenza di cardiomegalia, congestione ed edema polmonare, versamento pleurico/addominale. I marker biochimici (peptidi natriuretici) possono essere utili come aiuto diagnostico in corso di cardiomiopatie non classificate, ma nella pratica non vengono molto utilizzati. Per la diagnosi di cardiomiopatia e per il suo monitoraggio nel tempo la tecnica gold standard resta l’esame ecocardiografico. Se nella cardiomiopatia ipertrofica si rileva la presenza di ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, in corso di cardiomiopatia restrittiva si osservano ventricoli pressoché normali ma più rigidi, associati a una grave dilatazione dell’atrio sinistro o di entrambi gli atri. Nella forma dilatativa, i ventricoli si presentano anche ipocinetici. Tale forma si può riscontrare come evoluzione finale (“end-stage”) di altre cardiomiopatie.

Trattamento delle cardiomiopatie feline: cosa c’è di nuovo? La dott.ssa Castellitto, presidente del Centro cardiologico veterinario, nella sua relazione ha affrontato il tema delle terapie mediche relative alle cardiomiopatie feline. Molto importante ai fini terapeutici è distinguere se si tratta, prima di tutto, di una cardiomiopatia primaria o secondaria ad altre patologie. Da ricordare che, nei pazienti cardiopatici, è molto importante valutare e monitorare la funzione renale, a partire dall’esame delle urine con valutazione del rapporto PU/CU, in quanto si somministrano farmaci che agiuscono su tali organi. In generale, in caso di edema polmonare cardiogeno, la relatrice raccomanda di utilizzare il SO-FINE approach (Bonagura, 2014) che consiste in:

  • sedazione (butorfanolo 0,2-0,3 mg/kg);
  • ossigeno;
  • furosemide;
  • inotropi (dobutamina in caso di shock cardiogeno e pimobendan in caso di disfunzione sistolica);
  • nitroglicerina;
  • extra therapy (toracentesi).

Dopodiché, nella terapia cronica, furosemide (0,5-2 mg/kg per os da sid a tid) al dosaggio as low as possible mediante il monitoraggio della frequenza respiratoria a riposo a casa da parte dei proprietari, e ACE-inibitori (benazepril 0,5 mg/kg sid/bid). L’utilizzo di beta bloccanti come l’atenololo risulta controverso; infatti, la dott.ssa Castellitto ha riportato uno studio del 2013 dove si è visto che l’atenololo non ha aiutato ad aumentare i tempi di sopravvivenza nei gatti affetti da HCM in 5 anni di osservazione rispetto al gruppo di gatti di controllo che non erano stati trattati con beta bloccante. In caso di SAM severa, l’atenololo sembra comunque ridurre l’entità del rigurgito. Ancora più controindicato è il suo utilizzo durante la fase di scompenso cardiaco, in cui riduce i tempi di sopravvivenza rispetto ai pazienti trattati con il solo diuretico.

Nei pazienti che presentano anche deficit sistolico (come in corso di DCM), oltre alle terapie sopracitate, si consiglia l’utilizzo di pimobendan al dosaggio di 1,25 mg/gatto bid e l’integrazione di taurina se è presente un deficit dietetico (ormai raro con le diete commerciali). Un’altra terapia da considerare è quella anticoagulante, che talvolta bisogna attuare anche in pazienti asintomatici. Per valutare se cominciare o meno tale terapia è importante la stratificazione del rischio del paziente. Se il gatto presenta ingrandimento dell’atrio sinistro, il rischio di tromboembolismo è alto e quindi si consiglia di cominciare la terapia per prevenirne la formazione. Acido acetilsalicilico (5 mg/gatto ogni 72 ore), eparina e clopidogrel (1/4 di compressa da 75 mg sid) sono i principi attivi utilizzati. Nel caso di aritmie concomitanti, bisognerà attuare anche terapie anti-aritmiche. Al termine delle relazioni, è seguita una discussione con i partecipanti volta a chiarire alcuni dubbi riguardanti soprattutto la selezione dei soggetti da riproduzione in allevamento e il loro monitoraggio cardiologico. Il dibattito si è concluso con l’annuncio della dott.ssa Castellitto della partenza, a breve, di un nuovo progetto di ricerca sulla cardiomiopatia ipertrofica felina in collaborazione con gli Stati Uniti, diretto dalla stessa Castellitto e coordinato da Patricia Mathison, collega di nota fama internazionale.

Elisa Lucchiari


L’articolo è stato pubblicato sulla rivista “La Settimana Veterinaria” – N°898  del 10 dicembre 2014.
HCM Feline ha il permesso per la pubblicazione dell’articolo.
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